Francesco Corigliano - Intervista all'autore

Luca Pili del Gruppo Telegram Lovecraft Italia intervista lo scrittore Francesco Corigliano. Autore piuttosto noto nella scena weird italiana, ha pubblicato numerosi racconti, l'importante saggio "La letteratura Weird. Narrare l'impensabile" e la recente raccolta di racconti "Spettri di pietra". 



LP: Ciao Francesco, cominciamo con La letteratura weird. Narrare l'impensabile. Come nasce questo libro? 

FC: Ho conseguito un dottorato di tre anni in studi letterari, dedicandolo interamente alla weird fiction. Il libro è ampiamente basato sulla tesi del dottorato, con qualche aggiustamento in termini teorici e di linguaggio. 


LP: Che cos'è la weird fiction? 

FC: Ci sono mille risposte possibili a questa domanda e, come quasi sempre in letteratura, nessuna di esse è davvero definitiva. Nei limiti della mia esperienza attuale, si può parlare di weird fiction quando si è davanti un certo atteggiamento verso la narrativa del soprannaturale, nello specifico un atteggiamento che esalti l’aspetto del mistero e dell’incomprensibilità del soprannaturale stesso. È quando, nel contesto di un’impostazione realistica, l’emersione di un evento impossibile si configura come qualcosa di sconvolgente e insieme inafferrabile. 

Per quanto sia un metodo narrativo che si è sviluppato tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, il weird si trova anche oggi nella produzione contemporanea. Più che un genere, quindi, per me il weird è un modo di scrivere; in un romanzo ci possono essere sezioni weird e sezioni che non lo sono, così come si può usare il weird per narrazioni già impostate su canoni di realtà diversi dal nostro, come il fantasy o la fantascienza. Per raggiungere l’effetto weird si ricorre a diversi stratagemmi narrativi, e secondo me i principali sono l’omissione e l’allusione, cioè la privazione di informazioni e il riferimento a conoscenze inafferrabili, entrambe tecniche che causano nel lettore un senso di spaesamento e di inquietudine.


LP: Nel tuo saggio proponi tre casi studio: Jean Ray, Stefan Grabinski e H.P. Lovecraft. Perché loro tre?

FC: Ho scelto questi autori per due motivi.

Il primo, il più importante, è che li adoro.
Il secondo è che alcune caratteristiche dei loro scritti sono in comune e ricorrenti, e sono loro che mi hanno portato alla definizione di weird fiction che ho circoscritto nel capitolo teorico. Per l’intero studio ho cercato di usare un metodo più deduttivo che induttivo, partendo dalle mie letture e quindi anche da questi tre autori. Inoltre ammetto che la scelta è influenzata da un tentativo di svincolare il discorso del weird da un contesto puramente anglosassone, e quindi andare oltre al classico Lovecraft e agli autori che gli vengono usualmente associati, come Blackwood, Machen, Hodgson e così via.
Ray mi interessava anche per il suo rapporto con il mondo editoriale e con le riviste, perché credo sia comparabile – con le dovute eccezioni – a quello di Lovecraft con i pulp magazine. Il legame tra weird e narrativa “di consumo” è molto stretto e studiare l’opera dell’autore di Malpertuis implica approfondire questo tipo di contesto. Ovviamente tenendo conto delle particolari scelte stilistiche dello stesso Ray, che in alcuni casi estremizza i caratteri del soprannaturale al punto di parodizzarli.
Grabinski è un autore più letterario, e forse proprio per questo il suo approccio al soprannaturale sfocia in un weird più destabilizzante, per certi aspetti metafisico. La sua opera è intrisa di decadentismo e al contempo di fascinazione per l’innovazione tecnologica, in una combinazione di contraddizioni che si presta bene a scuotere narrativamente le fondamenta stessa del reale.
Lovecraft, Ray e Grabiński assaltano da punti diversi il fantastico, esasperandone le componenti e rimodellandolo in una letteratura che fa del soprannaturale il simbolo supremo dell’Ignoto.


LP: Recentemente abbiamo visto abbinati due concetti, Weird e Eerie, e due nomi, Fisher e Lovecraft. Cosa puoi dirci a riguardo?

FC: Durante il mio dottorato "The Weird and the Eerie" è stato uno libro per me fondamentale, davvero un punto di riferimento sia per la teoria che per il metodo. Naturalmente Fisher ha condotto un proprio discorso con il quale non sempre mi sono trovato in contatto: ad esempio io intendevo occuparmi esclusivamente di letteratura, mentre nella sua analisi Fisher ha compreso da subito anche altri media artistici come la musica e il cinema. Per quanto riguarda le due modalità del weird e dell’eerie, è una distinzione che secondo me funziona di più contemplando, appunto, un panorama di linguaggi artistici più ampio; nel campo della letteratura i due effetti tendono ad assomigliarsi, i punti in comune a sovrapporsi. Fatto sta che la categoria dell’eerie come è proposta da Fisher è, secondo me, quella più interessante e più versatile ai fini della ricerca e della comprensione delle opere contemporanee.  


LP:  Lovecraft, quale approccio consigli per leggere la sua opera?

FC: Credo che approcciare Lovecraft oggi non sia sempre semplice. Si tende a celebrare tutte le sue storie presentandole come capolavori del weird¸ ma francamente penso che alcuni dei suoi testi, soprattutto quelli più legati al tema onirico, possano frenare anche i lettori più entusiasti: sono racconti tesi a rendere una suggestione, un’atmosfera, e spesso quasi privi di azioni. Altri testi ancora si possono apprezzare appieno soltanto avendo già presente quella rete di rimandi e di citazioni che attraversa l’intero corpus lovecraftiano. Capisco quindi chi comincia con i grandi classici, come The Call of Cthulhu, The Shadow over Innnsmouth o The Colour Out of Space, approfondendo soltanto dopo i racconti meno noti e in realtà meno legati al weird.

Nonostante questa premessa, secondo me l’opera di Lovecraft è più interessante se letta in ordine cronologico, in modo da apprezzare direttamente l’evoluzione dalla storia dell’orrore “classica” all’onirico e al weird, giungendo infine alla sua vena fantascientifica. Penso sia anche giusto evidenziare che alcuni passaggi dei suoi racconti potrebbero urtare la sensibilità moderna, a causa delle sue ben note posizioni su politica e razzismo, e credo che di questo si dovrebbe essere consapevoli in modo da poterle contestualizzare (dove possibile). 


LP: La figura retorica dell'allusione ha un posto di rilievo nella narrativa di Lovecraft?

Nei suoi racconti, specie in quelli della media e tarda produzione, Lovecraft tende a menzionare misteri e orrori esterni alla vicenda propriamente narrata, in modo da suscitare nel lettore un senso di inquietudine: il mistero che stiamo affrontando è già oscuro, ma è soltanto un tassello in mezzo a un mosaico di rivelazioni tremende e sconvolgenti. L’intera idea di universo narrativo lovecraftiano, più che reggersi si una struttura precisa e rigida e su gerarchie di Antichi, Grandi Antichi e così via, si basa su un continuo rimandare ad altro, su allusioni vaghe ma non per questo meno efficaci ad altri terrori, a paure esterne. Questo meccanismo, peraltro studiato dal teorico Graham Harman, ha un suo impiego anche nelle descrizioni di entità e oggetti inesplicabili, le cui precise caratteristiche non sono rappresentabili e possono quindi essere comunicate soltanto per accenni vaghi.


LP: È possibile parlare di un Lovecraft modernista?

FC: È noto che Lovecraft si considerava un antimoderno e un conservatore puro. Tuttavia, tanto nella sua produzione narrativa quanto in quella saggistica ed epistolare, si possono trovare indizi di quella che reputo sia una grande vicinanza alla sua cultura letteraria coeva. 

Questo discorso vale in senso tematico, con la ricorrenza di temi tipicamente modernisti quali l’interesse per la psiche, per la storia e le culture straniere, per le innovazioni scientifiche. I protagonisti di Lovecraft sono spesso isolati dalla comunità, incapaci di comunicare le proprie esperienze agli altri, costretti a mettere in discussione la società umana e le sue convenzioni.

D’altra parte la confidenza con il modernismo vale anche in senso stilistico, e in questo senso si possono considerare l’intertestualità e la frammentarietà. L’opera lovecraftiana si può comprendere appieno soltanto considerandola nella sua interezza, tenendo cioè conto della rete di rimandi che legano ogni testo agli altri. Nei singoli racconti, d’altra parte, spesso sono fondamentali singoli passaggi di testi perduti, citazioni decontestualizzate che, nella loro ominosa vaghezza, scatenano associazioni e pulsioni immaginifiche di grande potenza.

Tutto questo emerge in modo evidente se si leggono i testi narrativi parallelamente al voluminoso epistolario. Nelle lettere Lovecraft parlava delle proprie storie, ne commentava i passaggi e ne analizzava l’origine, e nei turbamenti che hanno portato alla stesura di quei racconti si individuano facilmente le stesse inquietudini del modernismo.


LP: E' uscito da poco il tuo nuovo libro "Spettri di pietra" (edizioni Hypnos, il primo della nuova serie VISIONI), quali sono i progetti futuri a cui stai lavorando?

Spettri di pietra è un libro a cui tengo moltissimo, tredici storie che tentano un approccio al soprannaturale più diretto rispetto alle mie pubblicazioni più vecchie. Sono racconti che trattano di infestazioni, traslando il concetto a spazi sempre più ampi, sia fisici che mentali. Lavorarci con il curatore Giacomo Ortolani è stata un’esperienza splendida, Edizioni Hypnos è un editore meraviglioso e credo che per i testi weird italiani non ci possano essere destinazioni preferibili a questa.

Nel libro si affrontano diversi temi, principalmente il rapporto con il territorio e con il paesaggio. Pur mantenendo una forma di localizzazione geografica, ho tentato di sfumare i collegamenti più diretti e di condurre un discorso più tendente all’universale, usando il soprannaturale come filtro per raccontare l’Io e il suo dialogo con uno Spazio estraneo, indifferente e talvolta crudele.

Altro tema fondamentale è quello della fortuna. La casualità è un carattere tipico del racconto fantastico e del weird, e negli Spettri ho cercato di focalizzarmi soprattutto sul senso del mistero dinanzi agli eventi inaspettati della vita, e anche sull’importanza delle scelte che distrattamente ci troviamo a compiere ogni giorno.

Scrivere queste storie ha richiesto un certo esercizio mentale: come la maggior parte delle persone che si dedica alla scrittura, io ho i miei tic e quando si parla di soprannaturale tendo a dover cercare sempre una spiegazione al soprannaturale stesso. Il fantasma non è semplicemente un fantasma, ma è un’emanazione di qualche altra entità, o è legato a quel mistero antichissimo e dimenticato e così via. Questa impostazione naturalmente deriva da Lovecraft e, per quanto il solitario di Providence resti un mio maestro, per gli Spettri ho sentito la necessità di distaccarmi e di tentare un approccio più diretto e meno macchinoso al paranormale. Per questo Spettri di pietra è un’antologia a cui tengo moltissimo.

Per il resto sto lavorando a un romanzo breve fantasy e a una pubblicazione per il pubblico più giovane, sempre mantenendo i soliti toni cupi. E poi, ovviamente, continuo a scrivere racconti: gli ultimi due sono stati pubblicati nelle antologie Hallucigenia e Fratelli di taglia.


LP: Quali sono i tuoi scrittori preferiti, sia in ambito weird che nella letteratura ufficiale?

FC: Sicuramente quello che amo di più è M.R. James, l’unico autore che mi trovo a rileggere sistematicamente. Poi, per il weird, adoro i soliti mostri sacri: ovviamente Lovecraft, Machen, Hodgson, Aickman, mentre tra i contemporanei direi sicuramente Ramsey Campbell e Lisa Tuttle. In ambito letterario più ampio credo che Cormac McCarthy sia uno di quegli scrittori che ti resta inciso nel cervello.


LP: Sei un appassionato di musica, libri, fumetti, cinema, serial? Cosa consiglieresti?

FC: Mi piacciono un sacco di cose. A parte i libri, il mio interesse principale sono i videogiochi, soprattutto quelli dai toni horror e preferibilmente in ambientazione post-apocalittica: per me le serie di Fallout, S.T.A.L.K.E.R. e Metro 2033 sono fondamentali e me le rigioco spesso e volentieri. Non guardo molte serie TV perché mi annoia stare a lungo davanti al televisore, mentre guardo più spesso i film, di qualsiasi genere (ma con una certa e prevedibile predilezione per il fantastico). Tra i fumetti direi che Mike Mignola e Junji Ito sono tra i miei autori preferiti.


LP: Sappiamo che anche impegnato con una rivista online intitolato Calvario. Ti andrebbe di raccontarci questo progetto?

FC: Calvario è una rivista ideata da Marco Marra e Gerardo Spirito, focalizzata sul racconto dell’ancestrale, del folklorico, del desueto e del mitico. Accoglie testi sia in forma narrativa che saggistica e ha una linea editoriale precisa ma affatto rigida, che sconfina spesso nel fantastico. Quando mi hanno chiesto di partecipare, ho detto subito di sì. Trovo che sia un progetto originale e, passatemi il termine spesso abusato, davvero necessario nel panorama delle riviste italiane.


LP: Grazie Francesco, prima di salutarci, dicci qualcosa sulle tue opere che nessuno sa!

FC: Spesso faccio dei disegni con elementi dei racconti. Ma disegno malissimo, quindi nessuno li vedrà mai!



I Libri di Francesco Corigliano 

La letteratura Weird. Narrare l'impensabile 

Spettri di pietra 

Il canto di vetro


Gli Ebooks:

L'eco dell'acqua 

Nostra signora delle scaglie 

Funerale 

La funzione silvestre

Segnale 

Malasacraj

Sangue del padre


Nelle Antologie:

Hallucigenia

MANIFESTO - Ignoranza eroica 


La Rivista:

Calvario


Testi Citati

Mark Fisher - The Weird and the Eerie (edizione italiana)




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