Recensione - Milano di merda

Milano di merda di Alessandro Kresta Pedretta 

Recensione di Paolo Sista 


Abbiate pazienza, devo iniziare con un poco di aneddotica, dacché seppi dell'esistenza di questo libro in circostanze particolari. Assieme all'amico e sodale Mauro Palazzi stavamo facendo banchetto a Marginalia, quando un tizio si fece notare con comportamenti alquanto su di giri, anche per una fiera editoriale dedicata al cosiddetto weird. La fiera terminò il giorno seguente e ci parve di capire che suddetto tizio fosse uno degli editori di un altro stand. Sempre il giorno successivo il summenzionato tizio venne a scusarsi anche con noi, nel caso fosse stato inopportuno. Gli sorrisi e risposi che andava tutto bene: in un mondo di arroganti come quello contemporaneo, è assai raro che qualcuno si prenda la briga di tornare sui propri passi.
Nel corso delle settimane seguenti, numerosi libri del nostro catalogo ricevettero recensioni lusinghiere da un misterioso pseudonimo, che alla fine scoprimmo essere C.B., col quale nel frattempo eravamo divenuti amici. Ricordando Marginalia, ove ci eravamo conosciuti di persona ma ancora ignari della sua identità segreta, C.B. mi raccontò di come quel tizio particolare, detto il Kresta, fosse scrittore ed editore e che lo aveva ricoperto di improperi, perché aveva stroncato un suo libro in una recensione su di un popolare sito di libri online.
«Che libro era?» domandai incuriosito.
«Milano di merda. In più avevo letto anche un suo racconto lovecraftiano e anche quello zero»
«Mi informerò» gli risposi e così feci: la trama di "Milano di merda" sembrava interessante, appartenente al filone letterario incentrato su disagio metropolitano, emarginazione e tossicodipendenza: un tipo di realtà che io stesso conoscevo bene, avendo frequentato interzone e marmaglie lunatiche per lungo tempo. Ordinai il libro presso una libreria locale gestita da amici e mi misi a leggere.

Ora finalmente inizia la recensione vera e propria.
Il romanzo si svolge ovviamente a Milano, ma su due linee temporali differenti, il passato (sul finire degli anni '90) e il presente (anno più, anno meno).
In entrambe le epoche il protagonista è un uomo chiamato Kresta: un tossicodipendente nel tempo passato; un addetto alle pulizie presso la stazione di Milano Centrale, nel tempo presente in cui si è disintossicato. Non è dato sapere quanto egli sia un alter ego dello scrittore e quanto sia un personaggio di fantasia, né è importante.
Su queste premesse si dipana una narrazione della vita dei tossici di strada, la loro quotidianità scandita dall'incessante bisogno del buco successivo e della violenza tipica delle situazioni di degrado sociale, fino a quando il protagonista non ci sbatte in faccia un enigma degno dei migliori noir. Il compagno di pere del Kresta lo aveva invitato a stare attento, c'era qualcosa che non andava, si sarebbero visti il giorno successivo al SERT e gli avrebbe spiegato: l'amico non si presentò mai e tra le righe si capisce che in seguito il Kresta lasciò l'Italia e riuscì a ripulirsi.
A vent'anni di distanza, durante un turno di lavoro in quella Milano resa irriconoscibile da strati e strati di belletto della speculazione edilizia, a Kresta pare di scorgere un altro compagno dei giorni delle pere, ma una retata della polizia causa un generale fuggi fuggi e lo perde di vista. Da quel momento il tarlo del ricordo si insinua nella mente dell'uomo e egli decide di tornare nei quartieri che frequentava quand'era un "tossico", per cercare quegli amici scomparsi e sciogliere finalmente il mistero che ancora oggi lo tormenta.
Questa in sunto la vicenda, che specifico non è un noir ma ne accoglie alcuni stilemi; la narrazione vera e propria ricorda più un esempio di storia orale, quasi un report etnografico sulle tribù di eroinomani e sconvolti assortiti dell'epoca, inclusa la ingenuità del "buco" come atto controculturale, per arrivare alla patina di ipocrisia del giorno d'oggi, ove anche la tossicodipendenza può essere fagocita dal sistema dei flussi di capitale sempre piu astratti, rapidi, glaciali.
Contrariamente all'amico C.B., per me questo libro è da voto massimo per tutte le ragioni e qualche minimo difetto che ora esplicherò.
Innanzi tutto lo stile di scrittura, visionario e romantico. Immagini di paesaggi metropolitani desolati, quasi provenienti dalle rovine di un futuro prossimo venturo; una giungla di cemento cui l'uomo moderno si sente inadatto e tuttavia non riesce a immaginare altro habitat in cui consumare la propria esistenza. Un assortimento di vicende umane oltre il limite del grottesco ma che ciononostante non provocano brame genocide di caratterizzazioni finali.
Una visione quindi disperata ma non nichilista, né facilmente cronachistica. Contrariamente a un Trainspotting non assistiamo a una sequenza di scene ora ironiche ora tragiche, ma prive di una vera critica dello stato di cose presente; in "Milano di merda" la critica c'è e non è piagnisteo patetico o forbito esercizio accademico: è rabbiosa, immediata, maleducata, immoderata. La stessa emotività si esprime in onde molto più calde rispetto a alle opere di un Burroughs o di un Trocchi, per citare i due capisaldi della letteratura dell'eroina.
Insomma, alla fine all'autore di questa deludente umanità gliene frega ancora qualcosa, pur non offrendo soluzioni sul piano pratico (e sfido a trovarne, che non siano semplici slogan).
Forse avrei giusto accorciato un paio di episodi, una manciata di pagine in vero, che probabilmente avevano un valore affettivo per lo scrittore, ma in fondo è davvero il proverbiale pelo nell'uovo che possiamo lasciare dov'è.
In definitiva, uno dei pochi libri che negli ultimi anni mi ha davvero tenuto incollato alla lettura e che consiglio caldamente.
Post Scriptum: Kresta, non insultare più il nostro amico C.B.!!!

Il Libro 

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