Nosferatu - Le recensioni dei Cultisti

NOSFERATU di Robert Eggers
Le opinioni dei Cultisti 


Inevitabilmente il film di Eggers, il terzo a confrontarsi con l'archetipo vampirico del Nosferatu, non poteva lasciare indifferenti la comunità di appassionati del werid che risponde al nome di Lovecraft Italia. Pertanto, vi presentiamo le opinioni di alcuni fra i Cultisti più attivi nel nostro salotto letterario.

ATTENZIONE - LE RECENSIONI CONTENGONO SPOILER 

ATTENZIONE - LE OPINIONI ESPRESSE SONO CHIAVI DI LETTURA E NON RISPECCHIANO NECESSARIAMENTE LE CONVINZIONI DEI RECENSORI 


NOSFERATU 2025
(La prospettiva Paolo Possanzini)
Il 2025 si apre per il cinema con l’arrivo in sala del quarto lungometraggio del regista statunitense Robert Eggers, il quale da tempo desiderava realizzare la sua personale versione della storia del conte Orlock e della giovane coppia, Thomas e Ellen Hutter, la cui vita è sconvolta dalla malvagia presenza del vampiro. Eggers per questa nuova fatica si affida ad un cast in cui figurano attori come Willem Dafoe e Ralph Ineson che hanno già lavorato in precedenza con lui (The lighthouse, The northman e The Witch) e a giovani attori quali Nicholas Hoult, Bill Skarsgard e Lily Rose Depp danno ottima prova delle loro qualità attoriali. 
La trama riprende quella del classico film: nella Germania dell’Ottocento il giovane Hutter, da poco sposato, parte come agente immobiliare e si reca nei Carpazi dal conte Orlock che è intenzionato a lasciare la sua terra per trasferirsi a Wisborg diffondendo la peste.
Eggers sa fare sua la lezione dei precedenti registi che hanno portato sul grande schermo il conte Orlock ed è ben visibile l’omaggio a Murnau con l’ombra di Nosferatu che lo precede, l’estetica tipica del cinema tedesco degli anni 20 del secolo scorso. L' atmosfera, la fotografia e la regia sono la conferma dello stile ormai ben delineati del regista.
Il Nosferatu di Eggers è un demone, un mostro, interpretato da un irriconoscibile Bill Skarsgard il cui lavoro sul personaggio è ancora di più apprezzabile se visto in lingua originale per l’attenzione linguistico- lessicale e sul timbro e la voce cavernosa e lenta, che è attratto dalle pulsioni carnali della giovane Ellen Hutter (Lily Rose Depp). L’Orlock di Eggers si caratterizza anche per una caratteristica fisica del tutto nuova con canoni che non stonano con l’ambientazione storica del film un bel paio di baffi così come il suo aspetto fisico in toto che il regista mostra dopo molto tempo per far crescere l’orrore nello spettatore. Questo Nosferatu è infatti un vampiro, un non morto in decomposizione che è incapace di provare amore ma è limitato agli impulsi sessuali.
Nosferatu di Eggers amplia dei passaggi che l’originale e il remake di Herzog non avevano toccato come ad esempio l'opposizione delle idee di Von Franz (Dafoe) orientate sul lato occulto e alchemico con quelle più razionali di Harding (Taylor Johnson) circa quanto succede a Wisborg e Ellen che appare come posseduta da forze non facilmente riconducibili alla sfera terrena. Orlock non è semplicemente un vampiro ma una forza che sfida i limiti della comprensione umana


NOSFERATU E L’OMBRA
(La prospettiva di Natan Sergio)

Il film di Eggers ha la peculiarità di offrire il proprio corpo immaginistico a differenti chiavi di lettura. 
Io ho voluto cogliere quella che mi è parso il regista stesso abbia voluto evidenziare attraverso tre forti indicazioni, tutte incentrate sul personaggio del Professore Von Franz. Egli viene descritto come uno stimato medico e psichiatra svizzero, che negli ultimi scampoli della sua professione ha inoltrato la sua ricerca nei campi oscuri dell’alchimia e della magia, inimicandosi la comunità scientifica. Nella prima apparizione, nella suo appartamento colmo di libri e strumenti alchemici, viene presentato similmente a un’iconica fotografia di Jung.
Per finire, gli è stato dato il nome di una dei maggiori studiosi e prosecutori del pensiero jungiano (nella storia originale del film di Marnau, si chiama Bulwer).
Queste coordinate fornite direttamente da Eggers, mi hanno autorizzato a usare una chiave di lettura fortemente virata verso il concetto junghiano di Ombra, cioè la rappresentazione immaginale di quella parte di noi stessi che rifiutiamo, che non corrisponde all’immagine che ci siamo fatti di noi, o che ignoriamo, pur persistendo e avendo una sua legittimità nel nostro inconscio. In questa prospettiva, Orlok è l’Ombra rifiutata, ma che mai è stata annullata, in quanto proiezione oscura del nostro sé, che ci segue ovunque andiamo. Infatti, sarà proprio Thomas a portare il conte a Wisborg, a permettere al conte di andare a Wisborg. Il loro arrivo in contemporanea, sancito dall’esclamazione ambivalente di Ellen “E’ arrivato!”, è un chiaro indizio di quanto i due, Thomas e il vampiro, siano legati fra loro, tanto che mi verrebbe da dire, confortato anche dal finale del film, che Nosferatu sia in realtà l’Ombra di Thomas, della quale era inconsapevole. Una volta che si è realizzata questa traumatica presenza - la presenza dell’Ombra quale istanza inconscia - con tutto il portato di malvagità e oscurità che comporta, l’unica soluzione possibile è il sacrificio. Ma cosa, esattamente, è necessario sacrificare per liberarsi dalla propria ombra? Cosa di noi stessi dobbiamo perdere, per perdere anche l’Ombra?
La mia risposta risiede, ovviamente, nelle scene finali, nel sacrificio di Ellen, l’unica azione possibile per liberarsi dal flagello che incombe sulla città. Essendo lei ad avere un’affinità con Orlok, avendo avuto lei, in passato, una relazione umorale con lui, ed essendo solo lei ciò che lo attrae, l’unico modo per sconfiggere il vampiro era accettare di morire. Per eliminare, per disinnescare il portato dell’Ombra quale istanza della nostra persona, dobbiamo sacrificare ciò che di noi l’attira. Questo ci insegna che non è l’Ombra in quanto tale il portatore dei nostri contenuti scabrosi, osceni, malvagi, bensì quella parte di noi stessi - dunque propriamente noi stessi - che essa, l’Ombra, sa evidenziare. Per questo, nell’intenso dialogo con Ellen, a un certo punto il Conte si definisce un ‘appetito’, cioè la sensazione della fame. E la fame è di Ellen, non di Orlok. La malvagità è nostra, non dell’Ombra che ci abita.


NOSFERATU E L'ORGONE
(La prospettiva di Mondo Thule)

Credo che il motivo per il quale ad alcuni spettatori il film di Eggers non è piaciuto sia da imputarsi a un fraintendimento di fondo: Nosferatu non è un film dell'orrore, è un film politico. 
La mia chiave di interpretazione si muove lungo le coordinate psicanalitiche elaborate da Wilhelm Reich e in special modo sulla elaborazione teorica della repressione della libido quale detonatore del totalitarismo politico in ogni sua forma, alimentato proprio dalle "pesti emozionali" generate dagli squilibri psichici indotti dai modelli repressivi a livello economico, culturale, politico e sociale.
È infatti la protagonista, vittima della repressione sessuale imperante all'epoca della vicenda, a invocare la venuta del Mostro e guarda a caso il Nosferatu è un portatore di piaghe, sul proprio corpo e nel corpo sociale col quale interagisce.
L'infiltrazione dell'irrazionale – della pulsione divoratrice, cancerosa, autodistruttiva – attecchisce prima sui soggetti marginalizzati (in questo caso specifico, le donne); quindi, sulle imprese private prive di agganci col "sistema" (l'agenzia di mediazione immobiliare, alla ricerca di continui contratti da cui trarre provvigione); infine alla società tutta (emblematica la sequenza della mano ombrosa che si proietta sulla citta: non una semplice citazione o, peggior fraintendimento, l'avanzare delle forze maligne, bensì il dilagare dell'onda nera, l'arcaica brama acefala venuta a portare morte e distruzione sotto le spoglie di un ordine nuovo, inizialmente comperato per poche monete - ci torneremo in seguito.).
Vale la pena di specificare che il dottor Reich fu un forte avversario anche dello stalinismo – delle onde rosse storicamente date – e che trovò la galera e la morte negli Stati Uniti d'America, sotto le accuse non del puritanesimo religioso ma dell'integralsimo razionalistegginte figlio di quell'Illuminismo così accuratamente dissezionato da Adorno e Horkheimer.
Seguendo lo svolgimento della vicenda, il protagonista maschile, marito della invocatrice del Vampiro, si trova a dovere intraprendere la missione commerciale all'estero proprio per guadagnare quei soldi necessari ad assicurarsi il tenore di vita appropriato al suo ceto; ma anche per "curare" i malesseri dell'amata, nei confronti dei quali lo psichiatra ordinario – lo scienziato vittima dei propri pregiudizi di classe, inavvertiti – sembra impotente. 
Il rapporto di lavoro – il tempo della propria vita ridotta a merce di scambio per sistemarsi nella messa in scena sociale – inizia a balenare nella mente dell'uomo strada facendo, ossia quando si allontana fisicamente e mentalmente dalla propria realtà abituale (scoperta della falsa coscienza nella sua declinazione marxiana, detto altrimenti in gergo filosofico). Una volta giunto al castello e conosciuto il Conte, reso magistralmente ripugnante e subdolo e arrogante dal regista, emerge il rapporto tra preda e vampiro, tra subalterno e dominante, in tutta la sua violenza di vero e proprio stupro, fisico e mentale. Il protagonista baratta, anzi vende, tutto sé stesso e persino la propria sposa, l'amore della propria vita, per l'agognato, evangelico, sacchetto di monete. 
È molto interessante che prima e dopo il contratto col Conte, perché tale è, la sola resistenza opposta al vampiro è costituita dalle piccole comunità pre-capitaliste (zingari, contadini) e il Vampiro stesso sembra preferire la coltre di ottusità pseudorazionale delle moderne metropoli. Questo apparente richiamo all'irrazionalità è molto importante. Innanzitutto, Marx, benché nemico di ogni luddismo, del mito del buon selvaggio e dei sistemi economici pre-capitalisti, scrisse esplicitamente in una lettera a una rivoluzionaria russa che certe forme di organizzazione popolare avevano un valore resistenziale da studiare e preservare. In seconda istanza, che potremmo chiamare antropologica, certi schemi rituali (per esempio, il potlach o la recitazione collettiva di sillabe) possedevano una valenza riequilibrativa in grado di compiere una guarigione psicosomatica e spesso tali riti erano meno gravati di pregiudizi rispetto a certe abitudini moderne spacciate per verità assolute (vedasi, appunto, il pregiudizio antisessuale vittoriano o le derive del darwinismo sociale). Per terza, sempre nella già citata"Dialettica dell'Illuminismo", Adorno e Horkheimer mettono in guardia da una supposta razionalità scientista che, in nome della liberazione dagli arbìtri della Natura, vi sostituisce i propri. 
Come anticipato, il marito e il Conte giungono alla città della moglie (dell'uno e dall'Altro?) portando con sé i primi dubbi l'uno, la propria infezione l'Altro.
Da lì assistiamo a un complesso teatrino, in cui figurano il dirigente dell'agenzia immobiliare divenuto ghoul, simbolo degli imprenditori precipitati, dopo decenni di ansia per l'insicurezza economica, in un delirio omicida: la borghesia che stringe il patto con la Dittatura mascherata da sicurezza; gli amici di famiglia, rappresentazione delle ipocrisie necessarie a tenere in piedi un sistema altrimenti traballante fin nelle fondamenta; il dottor Von Franz, indubbiamente il personaggio più interessante del lotto. Esempio di contraddizione in atto, irrisolvibile dialetticamente, Von Franz unisce in sé il cialtrone e l'erudito, il santone in odore di occultismo e il geniale professore all'avanguardia sui propri pari. Sarà proprio lui – ambiguo come uno sciamano che inganna, a volte anche per anni, il proprio discepolo al fine di fargli comprendere come stanno le cose –  a ordire un complotto ai danni del marito e del medico ordinario sviandoli in un'improbabile missione finale nella cripta del cimitero, così da lasciare campo libero alla moglie.
Altra scena chiave, antecedente alla suddetta spedizione, è il dialogo tra i coniugi dopo un ennesimo attacco di "possessione", durante il quale per la prima volta l'uomo prende coscienza delle illusioni artefatte che l'educazione repressiva gli aveva imposto nella propria visione della moglie – della femmina in quanto tale, ca va sans dire – e assistiamo a un primo barlume di comprensione sanificante.
Il film, per l'appunto un'opera politica, non poteva che concludersi con il ritorno a casa della banda di eroi smascherati, però, nella loro inutilità. Saliti nella camera da letto, scoprono i cadaveri della moglie e del Mostro stretti in un abbraccio: il processo dialettico è stato finalmente compiuto, l'illusione della falsa coscienza e l'orrore del represso si sono "superati" vicendevolmente, mentre all'esterno il sole sta sorgendo a illuminare il nuovo giorno, a rischiarare la mente del soggetto che finalmente potrà iniziare a vedere il mondo,  ad agire in esso, consapevole delle patologie che ci affliggono e a lottare per una guarigione che dovrà essere tanto individuale quanto collettiva, ciclica e non lineare, permanente e mai definitiva.
È, in fondo, per questo motivo che il protagonista si trova ancora una volta in compagnia del Dottore (il pensiero razionale, il freddo calcolo) e del Von Franz (il desiderio creativo, la logica simbolica), i due poli non conciliabili ma dal cui pòlemos continua a generarsi la nostra interpretazione del mondo.


I FILM DI ROBERT EGGERS

Nosferatu 
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The Northman
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The Lighthouse 
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The Witch 
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FILM CITATI

Nosferatu di Murnau
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Nosferatu di Herzog 
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OPERE CITATE 

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