Aeonica - Sportello 13
AEONICA
I RACCONTI DEL BLOG 2.5
SPORTELLO 13
di Alice Cervia
Lo sportello aveva finalmente riaperto. Dopo una petizione, una raccolta firme. Due servizi al tg locale e sette articoli infuocati su quotidiani minori.
Nessuno ne era stato informato. Né il sindaco, né la minoranza che aveva dato battaglia.
Ovviamente non gli abitanti e meno di tutti Mario, il dirimpettaio.
Una mattina la saracinesca si era rialzata, cigolando forte. Il cartello sulla porta ancora impolverata era girato su ‘aperto’.
Mario non era entrato, non serviva a niente a lui quello sportello. Secondo lui, non serviva proprio a nessuno. Uno sportello per le informazioni turistiche. Scuoteva la testa aprendo le scatolette dei gatti sulla porta di casa. I gatti non c’erano quella mattina. Che strano. Mario alzò la testa dalle sue abitudini e si guardò intorno. La solita strada vuota, la solita vernice a staccarsi dai portoni. I soliti gerani secchi. Meno i soliti gatti. Meno tre gatti.
Così anche la mattina dopo. Cigolio di saracinesca. Porta aperta sulla polvere e il buio. Niente gatti.
Al bar ne parlavano tutti, non dei gatti ovviamente. Tra entusiasti e detrattori, la riapertura del servizio informazioni turistiche era la notizia del giorno. Nessuno però era entrato. Mica erano turisti, loro. Lo sportello aperto restava un’ottima o pessima cosa, a seconda della componente consiliare comunale per la quale si propendeva. Nessuno aveva visto l’addetto, neanche Mario, che la terza mattina fu costretto ad entrare.
Cigolio, apertura porta impolverata, niente gatti. Forse, un miagolio. Soffocato. Veniva dall’ufficio per le informazioni turistiche.
Mario abbassò la maniglia ed entrò, pronto. Pronto a cosa? Non lo sapeva. Forse, pronto non lo era. Sicuramente, pronto non lo era. L’ufficio era al buio. Le rastrelliere piene di volantini ancora coperte dai teli antipolvere e dentro non c’era proprio nessuno.
Né i gatti, né l’addetto (o addetta, in questo i commenti del bar erano stati poco attendibili). Si girò per uscire ma non trovò la maniglia. Non trovò la porta. Non trovò la saracinesca.
Della scomparsa di Mario, come di quella dei gatti, non si accorse nessuno. Si accorsero invece dell’arrivo dei turisti. Pochi, sparuti, solitari turisti.
La prima arrivò a piedi. Scese una mattina dalla collina di fronte al paese. Alcuni la videro uscire dal bosco su tacchi altissimi, con un trolley rosso nuovo di zecca. Guardava in basso e puntò dritta all’ufficio informazioni. Quando uscì sorrideva. A tutti. Scattò una foto alla torre e se ne tornò da dove era venuta.
Il secondo arrivò in auto. Così basso che sembrava fosse il cappello a guidare, con la protezione di un padrepio oscillante dallo specchietto. Entrò. Uscì molto più alto di prima. Scattò una foto alla torre e risalì sulla padrepio-mobile.
Il terzo era il fratello di Mario. Unico turista da anni, lavoratore (ora pensionato). Una vita in Belgio. Tornava per l’estate. Aveva suonato per ore al campanello di casa di suo fratello. Non avendo ottenuto risposta, aveva avuto la (pessima) idea di chiedere al vicino sportello per le informazioni turistiche. Avrebbe potuto chiedere al bar, ma era astemio. Peccato, per lui.
Gli si presentò davanti lo stesso buio, la stessa polvere e l’assenza di Mario. Non proprio. Di Mario qualcosa c’era, anche se lui non poteva esserne certo. Due femori. Lunghi, lucidi, ripuliti.
“Mi spiace” disse una voce alle sue spalle. Il fratello di Mario fu così tra i primi, e tra gli ultimi, a vedere l’addetto alle informazioni turistiche.
Né alto né basso, né grasso né magro. Vestito di nero e con un’aria infinitamente dispiaciuta
“Mi spiace - ribadì - pensavo di aver finito, qui”
Poi, scuotendo il capo, alzò la cornetta di un vecchio telefono.
“Sportello 13, Comune di XYZ768543. Ne abbiamo un altro. Potete inviare altri due - soppesò il fratello di Mario con lo sguardo - facciamo tre turisti. Se non sono troppo affamati”.
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